PAESAGGI RESISTENTI

IL TERRITORIO DISEGNATO DAI CONTADINI

Oltre al cibo l’agricoltura produce paesaggio. L’attività degli agricoltori ha dato luogo nel tempo a forme del paesaggio che conferiscono ancora oggi peculiarità e bellezza all’Italia. Il paesaggio così generato è uno specchio dove osservare le trasformazioni storiche, ma anche per leggere il presente e le prospettive dell’Italia rurale. Nella sua Storia del paesaggio agrario italiano Emilio Sereni faceva risalire le origini del paesaggio agrario contemporaneo all’età del Rinascimento, quando cominciarono ad affermarsi i campi a pigola, nati dall’azione combinata di dissodamenti e piantagioni su cui si sarebbe innestata l’evoluzione dei secoli successivi. Il paesaggio non è un dato, ma un processo collegato al lavoro degli agricoltori, alle colture, alle tecniche e alle condizioni ambientali dei luoghi. Ben oltre il dualismo Nord/Sud, il paesaggio agrario italiano presenta una varietà di situazioni e condizioni, frutto della pluralità dei sistemi agrari che hanno caratterizzato i diversi ambiti regionali.

Malgrado le pressioni di un modello di sviluppo capitalistico e urbanocentrico, che nel Novecento ha marginalizzato le campagne, abbandonandole o artificializzandole, il paesaggio agrario è in buona misura un paesaggio resistente, conservando come segni indelebili la forma dei campi, il disegno delle piantagioni, la distribuzione dell’insediamento contadino e le infrastrutture della campagna.

Paesaggio marchigiano
Paesaggio toscano

LA CASCINA E IL PAESAGGIO PADANO

Il quadro della pianura, della Padania in primo luogo, si è molto trasformato nel Novecento: grano e mais, riso in qualche parte, e prati hanno continuato ad essere coltivati attorno a quegli articolati e complessi edifici dotati di corte che sono le cascine. Ma le cosiddette “piantate” che facevano da cornice ad una agricoltura integrata cerealicoltura-allevamento, in particolare nel paesaggio della Bassa Lombardia e Emilia, si sono dileguate. Non si vedono più le alberature con filari di viti e di gelsi riguardavano anche la pianura asciutta e le colline dell’Italia settentrionale e la distesa di piantate, con la vite maritata all’olmo, spezzava la prevalenza dei seminativi fino all’Emilia e alla Romagna. L’aspetto variegato del paesaggio di pianura ha teso a diventare uniforme in aree sempre più vaste, che si sono andavate strutturando attorno a processi di bonifica, di specializzazione colturale e di estensione della rete irrigua, per giungere ad una tendenziale semplificazione del paesaggio agrario, in cui la terra continua ad essere utilizzata in modo prevalentemente industriale, con l’allevamento che si è separato dall’agricoltura e le cascine che sono rimaste sole, in larga parte abbandonate o sottoutilizzate.

 

IL PODERE E I PAESAGGI AGRARI DELL’ITALIA CENTRALE

Dove a lungo ha prevalso la mezzadria, contratto agrario basato sulla divisione a metà delle raccolte tra il contadino e il proprietario della terra, la coltivazione promiscua e l’insediamento sparso delle case coloniche, il “bel paesaggio” ha mostrato un più elevato grado di resistenza. È il paesaggio collinare dell’Italia centrale e di alcune zone di quella settentrionale, detto anche “paesaggio degli alberi” o del podere: una campagna urbanizzata e curata da generazioni di famiglie contadine, con la vite e l’ulivo intercalati ai seminativi e alle case. Ammirato da viaggiatori e poeti, si tratta di un paesaggio “costruito”, frutto di un sapiente e secolare lavoro agricolo, rigido e resistente nei suoi tratti essenziali, ma anche fragile e sensibile più di ogni altro paesaggio al tipo di attività agricola, fortemente collegato alla presenza degli agricoltori e delle loro famiglie nella campagna. Dopo il tramonto della mezzadria, sancito anche per legge tra il 1964 e il 1982, sono rimasti i segni della storia, un patrimonio consegnato oggi, in molti casi, all’uso agrituristico e a forme di agricoltura sostenibile che cerca di riprodurre l’equilibrio uomo-ambiente.

LA MASSERIA E IL PAESAGGIO DEL LATIFONDO

Nel Mezzogiorno d’Italia l’assenza dell’insediamento sparso aveva a lungo caratterizzato la campagna: quella dei boschi e del latifondo, con prevalenza di cereali e pascoli legati alle migrazioni e alla transumanza; un paesaggio più estensivo che contrassegnava le ampie regioni del Sud, con la rarefazione di alberi e case; una campagna più vuota, lavorata da braccianti e coloni che abitavano le cosiddette “città contadine”, cioè le grandi borgate dell’insediamento accentrato. Anche questo è stato a suo modo un paesaggio resistente. Tuttavia, neanche per il Meridione possiamo disegnare un volto uniforme: la monotonia del latifondo appare spezzata
qua e là da zone di agricoltura più intensiva, talvolta specializzata, come i giardini mediterranei della penisola sorrentina, i vigneti e gli oliveti della Puglia, gli agrumeti ai piedi dell’Etna, in Sicilia.
Oggi nell’area del latifondo la persistenza del paesaggio storico è testimoniata dagli ampi spazi e dal silenzio della campagna. Restano a punteggiare il paesaggio le rade masserie, rovinate o riqualificate, talvolta con funzione improprie. Discendente della villa rustica romana, ripresa nel Medioevo e sviluppatasi nell’Età Moderna, la masseria era un punto di riferimento non sempre stabile per l’agricoltura e l’allevamento.
Tutti questi elementi, o almeno le loro persistenze, sono ancora leggibili nel paesaggio agrario italiano.

APPROFONDIMENTI

I CERVI. CONTADINI TRA RESISTENZA E FUTURO