NON SOLO ECONOMIA. I PAESAGGI AGRARI COME PATRIMONIO

DA PAESAGGI ECONOMICI A PATRIMONIO

Successivamente alla pubblicazione di Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni, edita nel 1961, in Italia si fa strada sempre di più una concezione del paesaggio agrario che va oltre la sfera economico-produttiva nel settore primario o al suo mero studio in chiave geo-storica: il paesaggio inizia ad essere considerato un patrimonio da preservare e da difendere.
Nel contesto del boom economico, le tante contraddizioni e i casi eclatanti di degrado legati al declino dell’agricoltura e al simmetrico decollo dell’industria, nonché la progressiva erosione dei beni comuni sulla scia delle privatizzazioni, della cementificazione e dell’abusivismo edilizio, porteranno alla nascita e al successivo radicamento di un associazionismo ambientale maturo, scientificamente preparato, capace di impegnarsi in battaglie protezionistiche anche sul piano legale a favore della salvaguardia dei paesaggi rurali del Belpaese, frequentemente minacciati e ora considerati veri e propri beni storico-culturali.

L'assalto del cemento sulle coste italiane: Misano Adriatico (Rimini) nei primi anni Settanta.
LA NASCITA DELL’ASSOCIAZIONISMO: IL PAESAGGIO PATRIMONIO DI TUTTI

Emblematico è il caso di “Italia Nostra”, fondata nel 1955 da intellettuali di spicco del paese (tra tutti Giorgio Bassani, poi divenutone Presidente dal 1965 al 1980), le cui tante denunce trovarono un canale di divulgazione e discussione preferenziale sui quotidiani (raggiungendo quindi vasti strati della  popolazione) grazie in primis ad Antonio Cederna.

Antonio Cederna (1921-1996)

BATTAGLIE E DIBATTITI

L’emergere di spinte conservazionistiche “dal basso” riguardo al paesaggio, sganciate dai partiti tradizionali, in quegli anni originarono una contrapposizione (un “dialogo tra sordi”) tra il mondo ambientalista e il mondo agricolo e quello industriale: il primo premeva, talvolta anche in modo radicale-anacronistico o idealistico, per una maggiore salvaguardia e per l’imposizione di vincoli che lo Stato poteva ora predisporre; il secondo, poco consapevole delle conseguenze della meccanizzazione e dell’avvento della chimica in agricoltura di quegli anni, non accettava in toto le contestazioni avanzate, rimarcando come i contadini fossero gli unici a vivere nel e del paesaggio; il terzo si faceva scudo del “ricatto occupazionale”, paventando crisi economiche qualora i provvedimenti protezionistici fossero
stati tradotti in realtà.
Una simile dinamica si verificò su temi o territori di rilevanza nazionale (Antonio Cederna si dedicò appassionatamente, ad esempio, a difendere la campagna romana), ma anche in aree maggiormente periferiche, come nel caso del dibattito emiliano-romagnolo degli anni Settanta e Ottanta del Novecento in relazione alla conservazione degli affioramenti gessosi, emergenze tra le più significative a livello regionale.

LA SITUAZIONE ATTUALE

La stagione delle grandi battaglie (sia vinte, sia perse) degli anni Sessanta e Settanta a favore dei valori storicoculturali del paesaggio italiano e la sua ricezione presso vasti settori dell’opinione pubblica, e non solo presso le élite culturali, rappresentano una delle radici profonde grazie alla quale esiste oggi una vasta architettura di leggi, riconoscimenti, strutture ed enti che hanno come missione la conservazione, la gestione e la valorizzazione dei quadri ambientali.
Non si tratta di meri vincoli “limitanti”: tali disposizioni si prefiggono infatti di armonizzare le giuste esigenze conservazionistiche del paesaggio italiano con le attività economiche alla base della sua stessa genesi, prevenendo ad esempio l’abbandono agricolo o rifiutando un’idea di paesaggio “morto” o cristallizzato.
Sul piano legislativo, a livello italiano esiste un Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004; più volte modificato); anche le regioni, sia a statuto speciale che a statuto ordinario, possono legiferare in materia con leggi regionali (è il caso ad esempio della Toscana con la Legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1, “Norme per il governo del territorio”).
Sempre le regioni approvano il proprio Piano Paesaggistico Regionale, documento di riferimento per la pianificazione. Esistono poi le Soprintendenze per l’archeologia, le belle arti ed il paesaggio, che si occupano di tutela e vincoli; l’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio e i vari osservatori regionali e locali (sede di approfondimento e di discussione tra tecnici, ricercatori e istituzioni); parchi nazionali o regionali oppure riserve incentrati sul paesaggio; musei, ecomusei e musei all’aperto del paesaggio.
A livello europeo, il documento più importante è
sicuramente rappresentato dalla Convenzione Europea del Paesaggio (2000), la quale dà una definizione di paesaggio e dispone provvedimenti in materia che gli stati membri si impegnano ad applicare.
A livello mondiale, tra i vari strumenti e riconoscimenti ricordiamo i siti dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO (World Heritage) e il programma MAB (Man and Biosphere) sempre dell’UNESCO, dedicati a territori in cui i rapporti uomo-ambiente assumono caratteri paradigmatici.

PROVVEDIMENTI E RICONOSCIMENTI.
QUALE TIPO DI PATRIMONIO TUTELANO?

Un patrimonio plurimo, fatto di lineamenti paesistici “materiali” a volte vecchi di secoli o millenni, ma anche un patrimonio demo-etno-antropologico (si pensi ai mestieri tradizionali o agli attrezzi di lavoro), linguistico (lessico e voci dialettali connessi al paesaggio), toponomastico, di geodiversità, di biodiversità (vegetale e animale), gastronomico, enologico.

Uno scorcio dei terrazzamenti del Parco Nazionale delle Cinque Terre, istituito nel 1999

APPROFONDIMENTI

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