I NUOVI CONTADINI. IL RITORNO NEI CAMPI

IL RITORNO ALLA TERRA

Per secoli i contadini hanno rappresentato una classe sociale ed economica evidente e onnipresente, ma dagli anni del boom economico in poi sono diventati scomodi, una figura sociale da superare, vista come ostacolo al cambiamento e quindi destinata alla scomparsa.
Dall’inizio del terzo millennio, invece, il mondo contadino non solo si presenta in forme nuove e inaspettate, ma sembra addirittura incarnare una risposta chiave per soddisfare i fabbisogni alimentari nella direzione di uno sviluppo sostenibile dell’agricoltura e delle economie rurali.
Il ritorno alla terra avviene in modi diversi, specialmente ad opera di giovani e di donne. C’è chi lo fa arrivando da consuetudini urbane e approda in borghi collinari o montani, chi scommette nella transizione verso la multifunzionalità, chi prende in mano la terra di famiglia o chi si inventa attività legate all’agricoltura come le filiere corte del pane o il co-housing rurale. È una nuova realtà diffusa, non sempre rilevabile dai censimenti ufficiali, che esprime il bisogno di un ritorno consapevole alla campagna.

Nell’ultimo censimento l’Italia contava un milione di contadini nascosti, con un appezzamento di terreno – in proprietà o in affitto – di 1,3 ettari a testa. Non un orticello o un pezzo di terreno demaniale a ridosso di un fiume, ma un terreno agricolo vero e proprio lavorato per mettere in tavola alimenti sicuri e buoni, per difendere il territorio e far sopravvivere prodotti che altrimenti sarebbero stati dimenticati. Impiegati, professionisti, artigiani, operai, pensionati, che producono olio, vino, frutta e ortaggi per la propria tavola e per i mercati contadini o rionali. Inizio di un ritorno all’agricoltura contadina, all’agricoltura familiare, la forma più diffusa di coltivazione, in Italia e nel mondo, in grado di contribuire al sostentamento e all’integrazione di reddito per tante famiglie, non per tornare all’agricoltura dei nonni, ma per adottare un nuovo rapporto tra scienza e agricoltura, dove i saperi tradizionali si affiancano a tecniche agronomiche innovative e all’avanguardia.

Ricostruzione storica: contadini al lavoro per lo sfalcio dell'erba
Il lavoro delle donne nella stalla (Poviglio, Reggio Emilia)
Il ritorno alla terra di una giovane famiglia lombarda
Il lavoro delle donne nella trasformazione del latte

DA ALTRI MONDI

A partire dal 2000, nel settore agricolo si assiste al crescente ricorso a manodopera straniera; l’Italia diventa meta di immigrazione, luogo di arrivo di uomini e donne provenienti da Paesi privi di opportunità o segnati da eventi drammatici. Da allora la loro presenza nell’agricoltura diventa un dato strutturale e in crescita costante, in grado di mantenere stabile il numero della popolazione che altrimenti registrerebbe un saldo negativo.
Sono impegnati non solo nella tradizionale raccolta dei pomodori, ma anche nella vendemmia, nella mungitura, nella pastorizia, nella raccolta della frutta e delle colture ortive a pieno campo. Notevoli sono però le differenziazioni territoriali: al nord gli operatori di stalla hanno raggiunto una elevata professionalità, mentre al sud, come in Calabria e in Puglia, la raccolta dei prodotti ortofrutticoli avviene ancora a cottimo con la sottocompensazione del lavoro svolto.

L’apporto degli immigrati, in termini di specializzazione e innovazione, li rende oggi indispensabili per garantire la tenuta e la crescita produttiva del made in Italy agroalimentare tradizionale e di qualità in tutto il mondo. Ci sono territori produttivi di eccellenze agronomiche che possono sopravvivere solo grazie al loro lavoro: dalle stalle del nord e dell’Emilia, dove si munge il latte per il Parmigiano Reggiano, alla raccolta delle mele della Val di Non in Trentino, dal pomodoro del meridione alle pregiate uve del Piemonte o della Toscana. I nuovi volti e le mani che lavorano le nostre terre sono di indiani Sikh, di pachistani, rumeni, macedoni, nigeriani, albanesi, marocchini, somali, senegalesi, ghanesi…

Casa tradizionale della Bassa Reggiana riabitata dai "nuovi contadini"
Il lavoro degli immigrati nelle campagne italiane: campagna romana

IL NUOVO COLORE DELL’INSALATA E DEL PAESAGGIO AGRARIO

Il numero degli immigrati presenti nelle campagne, aggiunto a quello di coloro che sono impegnati negli altri settori produttivi del Paese, porta la loro presenza all’8,5% della popolazione residente (5.035.643 stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2021).
Uno degli effetti più percepibile si ha dalle bancarelle dei mercati e dagli scaffali dei negozi dove si troviamo esposti prodotti alimentari solo pochi anni fa estranei alle nostre abitudini alimentari, ma ormai consumati da tanti italiani: peperoni neri, patate blu, fagioli rossi, cavoli cinesi, zenzero, quinoa, curcuma, okra, ampalaya, mizuma, spinaci rossi, bietole arcobaleno, pomodori zebrati o gialli, mais rosso o bianco perla, cavolfiore arancione o giallo, cappuccio rosso, melanzane striate.
Questa nuova tipologia di prodotti imprimerà anche una diversa connotazione paesaggistica al nostro territorio. In un tempo abbastanza breve, potremo vedere le nostre colture tradizionali alternarsi a quelle importate in un recente passato ad altre nuovissime alloctone: vigneti e prati di erba medica che si alternano a coltivazioni di kiwi o ampalaya.
Il paesaggio agrario è la forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive e agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale (Emilio Sereni, 1961) e dunque anche il nostro territorio si adatterà a chi lo abita, in base alle sue esigenze produttive, insediative, religiose; ne riceverà l’impronta e saprà narrare alle generazioni future la stratificazione della sua storia.