FRAGILITÀ INSEDIATIVE

VISIONI DI CASE ABBANDONATE

Ogni volta che trovo un borgo abbandonato
ci vado molto volentieri, perché mi sembra di farlo rivivere,
e di ritrovare tutti gli abitanti che c’erano.
È un’impressione di tenerezza che ho verso questo mondo abbandonato

Tonino Guerra

Nel 2006 a Reggio Emilia veniva presentato il cortometraggio di Gianni Celati dal titolo Visioni di case che crollano: documentava la campagna attorno al delta del Po costellata di casolari abbandonati, dove il paesaggio appariva deserto e quasi del tutto privo di presenze umane. Nel 2010 sempre alla Biennale del Paesaggio il regista Alessandro Scillitani presentava il docufilm Case abbandonate.
Casali, cascine, case coloniche, opifici, edifici della bonifica idraulica, ma anche elementi naturali come fiumi, canali e pioppi e ancora oggetti in disuso della civiltà contadina diventavano nelle pellicole cose metafisiche, appartenevano ad un universo sospeso, quello del tempo che passa inesorabilmente. Dirà Celati: “Le case che crollano sono sentite come una specie di malattia”. Il fragile paesaggio di case che crollano negli anni è diventato una visione consueta negli itinerari sul territorio rurale italiano. Celati ma anche John Berger, scrittori e poeti, insieme a Luigi Ghirri, fotografo, invitavano a non guardare con mestizia alle case in rovina ma piuttosto come a un nuovo e sorprendente paesaggio moderno, e ci indicavano di affinare il nostro sguardo, di dotarci di una predisposizione diversa, capace di cogliere le diverse facce della realtà, in relazione al nostro tempo.
Limpida e condivisibile questa visione “umanistica” e letteraria del paesaggio degli abbandoni e delle rovine, sebbene sia altresì necessaria una programmazione per una trasformazione del patrimonio edilizio rurale tra valorizzazione e conservazione. Un viaggio sull’onda della memoria alla scoperta delle tante case abbandonate che caratterizzano il paesaggio dell’intero Bel Paese deve poi avere una progettualità operativa. Luoghi condannati all’oblio, ma fonti inesauribili di racconti e leggende popolari, oltre che profondamente legati all’immaginario collettivo. Si potrebbe ripartire da questo per la loro rinascita. Case sparse, nato da un’idea di Luigi Ghirri, il grande fotografo emiliano scomparso nel 1992, cercava di restituire alla nostra natura di spettatori immaturi e inconsapevoli una chance di guardare con occhi diversi la bellezza quotidiana di un paesaggio che tuttora vive anche delle sue rovine recenti.
Gli sconfortanti dati Istat sul consumo del suolo, sull’abusivismo edilizio, sull’abbandono dell’edilizia tradizionale ci indicano un’unica direzione ormai da dover seguire: recupero, riuso e manutenzione del patrimonio edilizio esistente. Nella moltitudine di linee guida e normative per la tutela, il più delle volte ogni voce di rivalorizzazione rimane però inevitabilmente inascoltata. Il Piano Strategico Nazionale per lo sviluppo rurale 2007-2013 alla voce “paesaggio” specifica “Negli ultimi decenni, il paesaggio [rurale] italiano è stato interessato da un progressivo degrado, che ne sta compromettendo le caratteristiche qualitative”.
Uno scenario difficile da gestire nelle sue potenzialità. Una possibilità potrebbe arrivare dagli Osservatori del paesaggio, pochi dei quali realmente attivi secondo le modalità del Codice dei beni culturali e del paesaggio al quale si riferiscono. Utili strumenti di consapevolezza, trait d’union culturale tra comunità e amministratori, promotori della conoscenza profonda di territori che diventano giorno dopo giorno sempre più fragili. Spesso però gli Osservatori rimangono solo a definire linee operative, senza operare.

Corte Valle RE, Campegine (RE)
Ca Corniani, le cantine, Monfumo (TV)
Casale Viazzi a Picenengo (CR) è una tra la moltitudine (circa 150) di grandi strutture antiche a corte chiusa legate all’attività agricola, elementi di forte identità della cultura locale

RISCRIVERE LA STORIA DEL NOVECENTO
TRA CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE

Emilio Sereni indicava l’evoluzione del paesaggio rurale in relazione al suo legame con l’attività agricola. Per essa soprattutto tra Ottocento e Novecento serviva una rete infrastrutturale fatta di manufatti (appoderamenti rurali) e servizi (strade e ponti).

La necessarietà ha indirizzato una giustificazione sul loro effettivo valore, dichiarando così una minore rilevanza rispetto a costruzioni antecedenti. Su questo tema si fonda tutta la problematicità dell’abbandono dell’architettura rurale del Novecento, che non riesce a essere ancora paragonato – come periodo storico – ai secoli che lo precedono. Un riconoscimento è ormai necessario. Solo così si può trasmettere la viva percezione alle comunità che la qualità semantica di tali costruzioni, e dei paesaggi che ne derivano, è patrimonio della società civile. Opere che magari non sono eccellenze artistiche nella loro singolarità ma diventano fondamentali perché fanno parte di un sistema unico e insostituibile. Come ad esempio i poderi dell’Agro Pontino o il sistema degli appoderamenti rurali veneti derivanti dalla bonifica idraulica novecentesca.

Casa colonica Agro Pontino su via Appia vicino a Casal delle Palme, Latina (LT)
Podere 1413. Una casa colonica edificata negli anni Trenta del Novecento dall’ONC (Opera Nazionale Combattenti), con il suo caratteristico colore azzurro “contro la zanzara anofele”

CRITICITA’ E FUTURO

Emilio Sereni indicava l’evoluzione del paesaggio rurale in relazione al suo legame con l’attività agricola. Per essa soprattutto tra Ottocento e Novecento serviva una rete infrastrutturale fatta di manufatti (appoderamenti rurali) e servizi (strade e ponti). La necessarietà ha indirizzato una giustificazione sul loro effettivo valore, dichiarando così una minore rilevanza rispetto a costruzioni antecedenti. Su questo tema si fonda tutta la problematicità dell’abbandono dell’architettura rurale del Novecento, che non riesce a essere ancora paragonato – come periodo storico – ai secoli che lo precedono. Un riconoscimento è ormai necessario. Solo così si può trasmettere la viva percezione alle comunità che la qualità semantica di tali costruzioni, e dei paesaggi che ne derivano, è patrimonio della società civile. Opere che magari non sono eccellenze artistiche nella loro singolarità ma diventano fondamentali perché fanno parte di un sistema unico e insostituibile. Come ad esempio i poderi dell’Agro Pontino o il sistema degli appoderamenti rurali veneti derivanti dalla bonifica idraulica novecentesca.

Una casa colonica del periodo littorio in Agro Pontino in una foto d'epoca dell'ONC
La fondazione di un territorio. Case coloniche ONC di via Migliara, Lazio

AREE INTERNE: PICCOLI BORGHI RURALI E NUOVE OPPORTUNITA’

Tutto il nostro paesaggio italiano è storico e moderno al contempo. L’approvazione della Legge 158 del 6/10/2017 rappresenta un importante riconoscimento della rilevanza strategica dei Piccoli Comuni, rendendoli partecipi di un progetto di sviluppo. L’abbandono dei luoghi e il disfacimento dei paesaggi non è un’esclusiva di colline e montagne, così come non sono concentrati geograficamente in una sola parte d’Italia. Tra il 1998 e il 2016, secondo i dati Istat, nei Piccoli Comuni sono mancate all’appello quasi 700.000 persone, pari ad una perdita del 6,5%. Nei Comuni sopra i 5.000 abitanti, invece, la popolazione aumenta complessivamente fino al 2014.
Nell’accezione comune le Aree Interne si intendono per lo più i territori montani o collinari, quelli tra i più lontani dai principali nodi infrastrutturali, urbani e produttivi del Paese. Ma non sono solo questi. Insomma non è solo la montagna ad essere distante dall’offerta dei moderni servizi della contemporaneità. Certo quest’ultima è geograficamente lontana, ma vi sono anche altri paesaggi, aree intermedie, che, seppur vicini per spazio ai cosiddetti nodi urbani, sono lontani dalle loro strategie di crescita e sviluppo. È una geografia minore, poco visibile perché ordinaria, nascosta, poco nota, molto caratterizzata formalmente al suo interno, estesa e per lo più fortemente orizzontale, un tempo (ormai lontano) depressa nel senso morfologico del termine, perché avvallata e insalubre, ora bonificata.
Sono i paesaggi di pianura, molti, moltissimi nel Sud dell’Italia, altrettanti al Nord a cominciare dalla Pianura padana, ad alta vocazione agricola. Questi Piccoli Comuni rappresentano un patrimonio al quale non è possibile rinunciare e che ha trovato nella Strategia delle Aree Interne la prima vera opportunità per ripensare il proprio futuro, attraverso un progetto ampio fatto da una molteplicità di azioni, con comunità che si reinventano anche attraverso operazioni innovative e la partecipazione attiva dei cittadini. Da tale condizione sta lentamente nascendo una diffusa consapevolezza da parte delle comunità residenti per trasformare le marginalità di questi luoghi in forte identità culturale e territoriale, anche alla luce dell’emergere di nuovi temi ambientali e di welfare negli specifici sistemi insediativi. Si è coscienti che questi paesaggi possano offrire oggi una positiva varietà sullo stile di vita, dell’aria, dell’alimentazione e delle relazioni umane. I territori vengono riscoperti, valorizzati da narrazioni di paesaggio come possibili forme di progetto di riqualificazione. Storytelling virtuosi. Nuove sensibilità che si misurano con la nozione di Bene Comune per una condivisione di benessere sociale e territoriale, trasformando in questo modo il patrimonio edilizio rurale tra valorizzazione e conservazione.

Veduta di Pietrapertosa (PZ)
Podere agricolo nella campagna a nord di Venezia
Silos e aziende agricole abbandonate, Caposile (VE)
Casa colonica su Riviera del Sile, Ca’ Florida, azienda agricola edificata nei territori di bonifica di primo Novecento nella campagna di Giussago (VE)

APPROFONDIMENTI

Visioni di case che crollano
Case abbandonate

Documentario di Alessandro Scillitani prodotto dalla Biennale del Paesaggio della Provincia di Reggio Emilia e da Fragola Film di Mirella Gazzotti.

La rinascita di Paraloup, prima borgata partigiana

La seconda resistenza delle baite che nel settembre ’43 furono quartier generale delle bande di Giustizia e Libertà: tornano a popolarsi per salvare memoria e ambiente.

di Francesco Doglio